Un tweet è presenza un dato è conoscenza: puntare alla sedia di Mari

Un tweet è presenza un dato è conoscenza: puntare alla sedia di Mari

È bello il fiorire di iniziative come #MuseumWeek o #ADayInTheLife o (ma qui sono di parte) #invasionidigitali.

Gli stessi musei iniziano a dotarsi di strumenti social, siano twitter o facebook o instagram o flickr: il profilo twitter del MiBACT è un buon connettore delle varie attività che stanno fiorendo, mentre il loro profilo facebook è più orientato alla comunità anche specialistica; questo denota che la consapevolezza dei vari canali comunicativi sta crescendo.

I canali comunicativi informano e suggeriscono
I canali comunicativi informano e suggeriscono e nella loro fondamentale funzione producono anche degli aggregati di dati che nella loro interazione genererebbero altre informazioni. Uso il condizionale perché prevale ancora la supremazia della fonte: in un certo senso gli stessi detentori delle opere non si sentono ancora abbastanza “allenati” per rilasciare e stare a vedere. Mi spiego: a tutt’oggi lo stesso MiBACT pubblica delle immagini di opere e su social –evidentemente commerciali in violazione allo stesso decreto del Codice dei Beni Culturali. Contemporanemente il MART assume sperimentalmente un Wikipediano residente per 6 mesi per testare le attività di condivisione su Wikipedia dei propri dati.

Le professioni dei Beni Culturali crescono
Le professioni dei Beni Culturali crescono ma i modelli non si evolvono: siamo ancora al principio di sussistenza dei volontari. Ultima in ordine di tempo la proposta del Sindaco Fassino:

Lanceremo un appello sul nostro sito chiedendo a chi offrirà la propria collaborazione gratuita di specificare l’arco d’impegno offerto e il settore dove si preferisce operare.

l’’articolo poi prosegue con questa osservazione:

In cambio, questi volontari, che si presume essere perlopiù pensionati [grassetto mio ] (una fascia di cittadini in continuo aumento) o giovanissimi, otterranno appunto una serie di benefit: per l’esempio l’abbonamento gratuito ai mezzi pubblici o ancora la tessera che dà il libero accesso a tutti i musei. «Ma ci verranno sicuramente anche altre idee» assicura Fassino.

Ora io considero gli anziani per quello che sono: le nostre radici, la nostra memoria, i nostri fondamentali nonni per i nostri bimbi (e sottolineo nonni e non sostituti genitori), ma di certo non sonorisorse da impiegare nella conservazione contemporanea che prevede digitalizzazione, catalogazione informatica, semantica, schemi tassonomici e analisi dei grafi.

Cresceranno con i social le speranze
Cresceranno con i social le speranze o le illusioni? Questo mi chiedo di fronte all’entusiasmo degli stagisti (spero invece che siano tutti dipendenti dei musei e delle biblioteche!) che postano dagli account ufficiali delle costellazioni GLAM italiane, ma prima o poi qualcuno chiederà sempre di più: belle le comunità, ma quelli che studiano quello che ci sta dentro dovranno sempre seguire le sfibranti trafile burocratiche per accedere ai dati? Un profilo twitter cosa può fare per alleggerire il carico di moduli e documentazioni da fornire per scrivere un testo su un’opera?

I social impongono pertanto delle domande
I social impongono pertanto delle domande alle quali vale il vecchio adagio “domandare è lecito rispondere è cortesia”, ma che è anche sopravvivenza. Se un museo, una biblioteca non si manifestano attraverso i social, generando un coinvogimento, viene a mancare la base stessa sulla quale si strutturano le stesse opere che conservano. Un quadro, un libro, una statua diventano Arte nel momento in cui, come dice perfettamente Enzo Mari:

l’’Arte non è mai popolare tutta la grande Arte del passato era un’opera sola che valeva per tutti, era un messaggio totale”

E quindi?
E quindi? La comunicazione dei Beni Culturali diventa conoscenza nel momento in cui innesta nel messaggio il nucleo della derivazione: da un tweet scopro l’accesso ai dati per una nuova ricerca, ad un modello per una nuova opera, ad un luogo per un nuovo itinerario. Perché, nella mia idea di invasionenon c’è l’orda, ma la con-fusione di punti di vista e linguaggi diversi che condividono. Ovviamente condividono per necessità: i musei per continuare ad esistere e dare lavoro a quegli stessi professionisti che necessitano – quando sono dall’altro lato – di fruire senza consumare.

Costruire la sedia
Costruire la sedia significa quindi condividere le istruzioni, prestarsi il martello e contare bene i chiodi:

  1. le istruzioni come linguaggio comune
  2. il martello come sistema comunicativo relazionale
  3. i chiodi come i dati a sigillo delle nuove comunità

In questo modo si può instaurare un patto culturale che va oltre la comunicazione, perché incide direttamente nel reinserimento dei luoghi culturali nell’esperienza quotidiana.

L’’arte senza condivisione non esiste.

Luca Corsato