Porta Palazzo: Il giro del mondo in una piazza

Porta Palazzo: Il giro del mondo in una piazza

Sabato 2 maggio ho partecipato ad una visita guidata a Porta Palazzo (quartiere di Torino), il più grande mercato all’aperto d’Europa.

Vivo a Torino da sempre e Porta Palazzo la conosco bene abitando in centro. E un luogo che mi ha sempre affascinato, per questo ho aderito volentieri a questa iniziativa, per saperne di più e scoprirne nuovi aspetti, dal momento che negli ultimi anni Torino ha avuto molte trasformazioni, in particolare in alcuni quartieri, fra i quali appunto Porta Palazzo.

L’imprinting che ho poi avuto dalla presentazione della bravissima guida Sara ha ancora di più acceso il mio entusiasmo per la visita. Realmente, a Porta Palazzo, ora c’è un amalgama unico di etnie e mondi diversi: centroafricani, cinesi, latinoamericani, maghrebini, romeni con ciascuna comunità portatrice della propria lingua, cultura, tradizione e modi di vivere.

Ho scoperto non solo la nuova realtà di questo luogo, ma sono anche venuta a conoscenza di notizie relative ad una Torino più antica, come, per esempio, che la galleria Umberto I, una delle tappe del tour, fosse il primo Ospedale Mauriziano.
Anche le altre tappe, posti che già conoscevo, negozi in cui ero già andata a fare acquisti, li ho visti con occhi diversi: la drogheria Rinaldi con i saponi di Aleppo, in piazza Emanuele Filiberto, il vecchio negozio orientale nella galleria Umberto I e quello più recente cinese su corso Regina Margherita, due realtà così diverse, quasi due mondi lontani che in un tempo passato sono stati vicini ed ora si rincontrano per caso in uno stesso luogo.

Interessante la spiegazione riguardo la presenza di una scritta in cinese, sulla parete dove è ubicato il negozio, che indica il laboratorio di riparazione di computer: una piccola chiave per aprire una porta su di un frammento di storia e di vita quotidiana.

Abbiamo assaporato l’atmosfera frizzante e vitale del Mercato del pesce.

Alla Tettoia dell’Orologio (edificio Liberty) ho trovato in un banco un angolo di Romania. Quasi immutato è invece rimasto il vecchio mercato dei contadini, rinnovatosi però e ammodernatosi per quel che riguarda l’immagine e la comunicazione: interessante è infatti il grande cartellone che indica in modo chiaro e accattivante i frutti e gli ortaggi di stagione.

Al lato nord di corso Regina Margherita, quello che un tempo chiamavo the dark side of the road per via di alcuni bar poco raccomandabili c’è sempre ancora quel vecchio negozio che vende un po di tutto e specialmente prodotti che solo lì puoi trovare.Non poteva mancare anche una veloce visita alla costruzione di Fuksas: la modernità architettonica di Porta Palazzo. Ricordo quando lo stavano costruendo e mi sembrava allora un corpo estraneo. Ora invece trovo che ci sta, contribuisce urbanisticamente a rafforzare quella caotica eterogeneità che è una delle peculiarità di questa piazza.

Un’altra cosa che appartiene invece alla storia di Torino è stata la vicenda di Cirio e la scultura a lui dedicata, posta sulla parete della piazza quasi all’angolo di corso Giulio Cesare. Nello stesso palazzo, all’inizio del corso, abbiamo visitato la macelleria halal, e al riguardo ho appreso dalla guida l’interessante differenza tra la macellazione di tradizione islamica e quella nostrana.

L’impressione generale che ho avuto da questa visita è che, nonostante i cambiamenti, questo luogo ha mantenuto però una sua impronta, la sua inconfondibile caratteristica ed il suo fascino; innanzitutto il mercato, che si è arricchito di nuovi volti e di nuovi idiomi.

Già crocevia dell’immigrazione dal Sud d’Italia negli anni sessanta, è ora il fulcro torinese di quella internazionale, del Sud del mondo; e l’immigrazione, di qualunque popolo ed in ogni posto ha un denominatore comune, l’incredibile energia, ingegno e fantasia che l’uomo impiega per adattarsi a vivere in ogni luogo, anche sconosciuto od ostile, la sua capacità a sopportare fatiche e privazioni, per inseguire il misterioso sogno della sopravvivenza, propria e dei propri figli e del loro sorriso.

Concludendo queste mie impressioni su questa visita vorrei fare i complementi e ringraziare l’organizzazione e la guida Sara, che, a mio avviso, è la dimostrazione di quanto l’immigrazione, di prima o seconda generazione, può apportare in termini di rinnovamento umano e culturale al nostro mondo riguardo a questo aspetto.

Isabella Boschini