Lo stupore in una notte

Lo stupore in una notte

Quando arrivi a San Pietro in Cerro non te ne accorgi, arrivi e basta, ti ritrovi catapultato all’interno del paese come se il paese fosse apparso lì, nella campagna tra Parma e Piacenza.

E tu dici – caspita eccoci -. La prima tappa del nostro viaggio tra i Castelli del Ducato si para davanti a noi, il castello che ospita il MiM. Ci ritroviamo davanti a un cancello in ferro che dà su un lungo viale alberato, sono le nove di sera e le fiammelle delle candele lungo il percorso rendono il tutto ancora più suggestivo. Il castello si trova alla fine del viale, costruito intorno alla torre di guardia. Non sembra una costruzione medievale, è perfettamente a suo agio nel paesaggio intorno, come un gatto che fa le fusa vicino a un caminetto, esattamente lì, dove il nostro immaginario lo collocherebbe. Veniamo accolti dal canto dei grilli e mentre percorriamo il viale si trasforma e si attenua, fino a sparire del tutto.

All’ingresso della torre incontriamo Roberta Castellani, curatrice del Museum in Motion, scattiamo una foto con lei e un altro tweet per la notte bianca, i telefoni nelle tasche vibrano di continuo, portiamo i nostri follower cinesi e non all’interno del castello. I saloni riportano al passato, ma non è un passato lontano e distante, è come un ricordo ancora vivido, come di un’estate appena trascorsa, il castello di San Pietro in Cerro non sembra né antico né moderno, galleggia tra le diverse epoche come se fosse dotato di carisma e personalità proprie, indossa i suoi anni con l’eleganza di un modello sulla passerella, un classico come Faulkner o Mann.

Ci separiamo dagli altri visitatori nel parco antistante, Roberta vuole mostrarci qualcosa, qualcosa solo per noi. Sappiamo già di cosa si tratta, ma non siamo comunque preparati. Avete presente la notte di Natale quando siete bambini? Ecco, lo sapete che ci sono i doni, ma nulla può prepararvi abbastanza all’emozione di scartare il regalo. E noi lo scartiamo mentre scendiamo nei sotterranei, via il fiocco, il nastro, ancora più giù, un lato di carta, la porta che si apre, pesante, eccolo: una riproduzione autenticata dei soldati di Xi’an, l’esercito di terracotta del Primo Imperatore. Perfetti, assolutamente perfetti, non ci stanchiamo di ammirarli da vicino, noi che abbiamo visto gli originali a ragguardevole distanza, chiediamo a Roberta se possiamo toccarli, increduli, acconsente.

Li fotografiamo con il cartello della notte bianca, li abbracciamo, scherziamo con loro e poi mettiamo tutto sul web, condividiamo con la Cina, sui nostri canali in oriente. La risposta è immediata, fragorosa, le fotografie passano da un utente all’altro, piovono commenti, Erica che bacia il ??? diventa l’immagine simbolo di un connubio perfetto, il medioevo italiano, l’antica Cina, la comunicazione moderna. Da quel momento in poi siamo seguiti nonostante in Cina sia notte fonda. Decidiamo di portarli con noi attraverso le opere del MiM. Ma non siamo altrettanto bravi.

O meglio, il MiM è qualcosa di diverso, non si può apprezzare a distanza, non stuzzica l’immaginario come un’occidentale che abbraccia un soldato di terracotta. Il MiM è arte allo stato solido, armonia tra oggetto e luogo. Personalmente non sono mai stato un sostenitore dell’arte moderna e ancora meno di quella contemporanea, forse non la capisco, non so, ma l’ho trovata sempre piuttosto asettica. Il MiM mi ha dato, invece, una nuova prospettiva.

Avete presente il gioco degli scacchi, il momento in cui si dà il matto all’avversario? Quel momento in cui tutti i tuoi pezzi sulla scacchiera sono al posto giusto e giochi chiusi? Ecco, questo è il MiM, opere d’arte ognuna al posto giusto rispetto a sé stessa, rispetto alle altre, rispetto al luogo, non sono le sale di un castello adattate a museo, ma è armonia, niente di più. Le opere esposte sono un centinaio, ma appartengono a una collezione ben più ampia, periodicamente vengono sostituite con altre, vorremmo vederle tutte, ma non c’è tempo, il nostro viaggio deve proseguire alla volta di Gropparello, ci attendono in un altro castello, salutiamo Roberta con la volontà di rivederci presto. Prima di salire sull’auto ci guardiamo ancora una volta indietro – meraviglioso – pensiamo. Accendiamo il navigatore, immettiamo la destinazione e partiamo, a questo punto non sappiamo bene cosa aspettarci, dall’altra parte del mondo, in Cina, i nostri follower vivono lo stesso stato d’animo. Ancora 40 chilometri… Cos’è un castello? Chiedetecelo ora dopo che abbiamo visto Gropparello.

Uno pensa ai castelli delle fiabe o alle rocche inespugnabili, ma mai a una struttura che li racchiuda entrambi. E infatti anche noi pensavamo così. Poi succede che vieni accolto al castello di Gropparello per la Notte Bianca della Cultura, di sera, col buio, segui la tua guida per un sentiero che si snoda tra alberi e brecciolino, breve, molto breve, illuminato da candele e che conduce a un ponte di legno. Attraversi il ponte ed è come il sipario che si alza alla prima di un’opera teatrale: magia. Attraverso l’arco vedi il cortile del castello, fiori bianchi spuntano dai vasi disseminati ovunque, petali come la chioma intorno a un viso incantevole e il viso è il balcone al centro del cortile. La prima cosa che si pensa guardando quel balcone è al verso più famoso del mondo, quello recitato nella fatal Verona. Non ha importanza che tu l’abbia visto oppure no, il balcone, è esattamente così che te lo immagini, da Zeffirelli a Baz Luhrmann. Chiediamo di poter scattare qualche foto, Erica sale, si affaccia, guarda il cielo stellato, i nostri amici in cinesi che ormai han fatto mattina sono lì, ancora a commentare sui social. E quasi li vediamo: in metro mentre vanno al lavoro, che bevono il tè o in cafetteria a far colazione, che alzano la sguardo dal tablet, dal cellulare e sognano un po’ verso occidente, verso i Castelli. Ma noi ci siamo e non sogniamo affatto.

E tutto vero anche quando sembra di stare dentro un favola. Altro che Grimm, pensiamo, quando percorriamo la scalinata che dà all’interno della Torre del Barbagianni: un baldacchino e un salottino, nient’altro, una torre per dormire e un intero castello a disposizione: salotti per i ricevimenti e i gran balli, salottini per la musica, il gorgoglio del fiume giù in basso, tra le rocce, quale altro luogo per sposarsi? Lo chiediamo ai cinesi in metro, in cafetteria: un plebiscito. Vorremmo restare ancora un po’, magari per riuscire a scorgere il fantasma di Rosania, la giovane del 200 che pare si aggiri ancora tra queste mura (e sì, signori, al Castello di Gropparello non si fanno mancare proprio nulla) ma è tardi e ci aspetta ancora un’ora di macchina per tornare in albergo. Anche a Gropparello diciamo arrivederci, perché un luogo così merita ben più di un incontro. Durante il tragitto per Parma parliamo di tutto quello che abbiamo visto, delle persone, dei castelli, delle opere d’arte, dell’esercito di terracotta, del balcone e dei fantasmi. Siamo stanchi, ma affascinati. Di colpo il silenzio, come se avessimo pensato entrambi la stessa cosa e una scintilla ci rinvigorisce di voglia di fare, muoverci ancora, condividere: qui è pieno di castelli, e noi ne abbiamo visti appena due.

Fabio Giardina